giovedì 14 luglio 2011

Interpretazioni a confronto: "Rivolgete a lui lo sguardo" K584

Si tratta di un'aria scritta per il personaggio di Guglielmo nell'opera Così fan tutte; sarà poi sostituita dalla più breve aria "Non siate ritrosi".
È scritta per la tessitura di basso-baritono, la pagina richiede tre fa diesis acuti, mentre al registro grave scende fino al fa diesis due ottave più sotto (nota solo toccata). Il brano richiede due trilli (il primo che può essere eseguito più breve; ma gli interpreti qui considerati lo eseguono in maniera molto diversa tra loro), ma soprattutto una buona dose di vis comica.


Deludenti

- Justino Diaz: inizia con bella voce, che diventa però poi un po’ stimbrata. Buoni gli acuti, ma i due trilli gli riescono male. L’interpretazione nel complesso sembra un po’ superficiale e il cantante sostanzialmente estraneo allo stile buffo.
- Thomas Quasthoff: l’emissione è particolarmente artificiosa e lo stesso si può dire per la dizione. Cerca di “caricare” alcune frasi, forse per ottenere un effetto comico, ma con brutti risultati. Non esegue il trillo, bensì alterna velocemente le due note (come d’altronde segnato in partitura, forse volutamente per ottenere un effetto comico; è l’unico a farlo). L’interpretazione complessivamente mi pare poco centrata.
- Fernando Corena (1960 con Argeo Quadri): vanta una bella voce, con buoni gravi e ottimi acuti. Dispiace per un po’ di “rigidità” di fondo, che rende difficile il legato. L’interpretazione è poco variata e “monolitica”. Il primo trillo viene completamente omesso.

Discreti

- Nicolas Rivenq (1988): esecuzione penalizzata dal tempo assurdamente rapido staccato dal direttore (Ion Marin). Che dire? il cantante riesce a reggerlo. L’esecuzione non è particolarmente rifinita, ma sostanzialmente corretta.
- Hermann Prey (live 1966): la dizione è fastidiosamente artificiosa (quel “pì-e-tà”, con accento sulla “i” è veramente brutto; per non parlare delle doppie, “se baliamo” - invece di “se balliamo” - o “al par di Essopo” in luogo di “al par di Esopo”). Tuttavia c’è una certa immedesimazione; il cantante ha idea di cosa sia lo stile buffo. Però la dizione è veramente un impaccio, anche nella scioltezza dell’articolazione di certi suoni. Il trillo è abbozzato, ma decoroso.
- Rodney Gilfry (direttore Gardiner): la voce è poco sonora, ma educata e morbida. L’esecuzione è molto corretta, con tutte le appoggiature; il fraseggio è sufficiente vario anche se l’interprete non è particolarmente carismaticao. Un filo difficoltosi risultano i due fa diesis acuti (il terzo è eseguito in una sorta di falsettone).

Ottimi ed eccellenti

- Thomas Hampson (2006 live, con Harding): la voce è morbida e il brano è molto ben cantato, con tanto di appoggiature. L’unico neo è un’interpretazione un po’ “esteriore”; ma in termini vocali Hampson è qui veramente perfetto. C’è qualche difficoltà solo nel finale, probabilmente a causa del tempo sensibilmente più spedito staccato da Harding, che mette alle strette il solista. Ma è poca cosa.

- George London (1953, con Bruno Walter): l’emissione è un pochino ingolata; ci sono diverse sbavature qua e là (errori di pronuncia, qualche nota “sbagliata”, un acuto poco poggiato, lo staccato non proprio preciso). Ma tutto ciò è poca cosa di fronte all’impeto travolgente che il cantante e il direttore imprimono alla pagina.
London compensa ampiamente i difetti con un fraseggio continuamente variato. Esegue molto bene i due trilli, è perfetto tanto nei gravi quanto nei due fa diesis acuti, addirittura imponenti.

- Alessandro Corbelli: stranamente Mackerras (direttore in genere molto attento alle questioni della filologia) non pretende l’esecuzione di tutte le appoggiature (ne vengono realizzate solo alcune).
Corbelli in compenso è perfetto, sia nel canto che come interprete, estremamente spontaneo e vario, con una grande varietà di accenti. Il primo trillo viene eseguito più a lungo che dagli altri e molto bene; il secondo in compenso è un po’ “chioccio” (vuole rendere anche lui l'effetto comico, come Quasthoff?).

- Italo Tajo (scaricabile qui): bella voce, morbida e rotonda. Il direttore (Mario Rossi) stacca un tempo spedito, che però Tajo regge agevolmente.

Anche lui risulta estremamente spontaneo ed immedesimato nella parte. Un valore aggiunto viene dato dal grande gioco di accenti con cui intona il testo (da sentire il modo in cui fraseggia ogni volta in modo diverso le frasi ripetute due volte, su tutte “io ardo, io gemo”; o ancora “se si parla poi di merto, certo io sono ed egli è certo”; per non parlare dello stringendo autenticamente buffonesco sfoggiato nella frase “e qualch’altro capitale abbiam poi ch’alcun non sa”).

La palma del migliore va forse a Tajo, seguito subito da Corbelli e poi da London. Hampson, che cede ad alcuni altri sul piano dell’interpretazione, dà dei punti pressoché a tutti in termini di puro canto.

p.s. La “classifica” è risultata molto diversa da quella di Per questa bella mano. Penso in particolare a Italo Tajo, che mi è parso il migliore, rispetto a Thomas Quasthoff, che non mi ha soddisfatto.
D’altronde le caratteristiche del brano sono molto diverse: anzitutto la tessitura è più acuta, da basso-baritono (e più precisamente da buffo), in secondo luogo non siamo più in ambito drammatico, bensì comico. Diventano quindi molto importanti alcune caratteristiche, dalla dizione, alla scioltezza del sillabato; per cantare quest’aria è necessaria una verve, che Per questa bella mano non richiedeva affatto. Requisiti diversi, a cui rispondono le diverse caratteristiche vocali degli interpreti. E un cantante come Tajo si trova qui senz’altro più nel suo elemento di quanto non si trovasse nell’altra aria.

sabato 7 maggio 2011

Mozart "No che non sei capace" - interpretazioni a confronto


Aria scritta nel 1783, dedicata ad Aloysia Lange (nome da sposata di Aloysia Weber), sorella della futura moglie di Mozart, si tratta di un brano piuttosto impegnativo, che prevede l'esecuzione di lunghi vocalizzi e diversi trilli. La nota più grave in partitura è un re3 (uno solo), ma la voce è spinta più volte mi5. Non stupisce dunque che sia tutte le incisioni disponibili siano state fatte da cantanti che oggi definiamo soprani di "coloratura".


Tutte le versioni considerate si trovano su youtube: basta clickare sul nome dell'interprete per essere reindirizzati al link corrispettivo.

Le meno convincenti:
Hedwig Francillo-Kaufmann (registrazione del 1912): l’esecuzione è decisamente trascurata, con diverse approssimazioni e imprecisioni; la pronuncia in alcuni punti è quanto meno bizzarra. Verso la fine del brano vengono tagliate diverse battute. Nei lunghi vocalizzi conclusivi molte note legate vengono eseguite picchiettate, chiaro retaggio di ciò che il gusto dell’epoca richiedeva ai soprani di coloratura.

Ingeborg Hallstein: l’interprete sfoggia un accento vigoroso. L’emissione tuttavia suona molto artificiosa e la voce un po’ rigida; l’interpretazione nel complesso non convince. Alcune piccole imprecisioni, trascurabili, sono certo imputabili al fatto che si tratta di un’esecuzione dal vivo.
Un aspetto decisamente fastidioso invece deriva dal fatto che in molte delle lunghe colorature, sulla vocale “a”, l’attacco viene fatto con il suono “ia” (non previsto); un trucchetto che alla lunga risulta davvero stucchevole.

Discrete:
Sumi Jo: canta tutto con molta precisione, ma espressivamente è davvero inerte. Curiosamente esegue staccato alcune delle ultime battute eseguite, segnate legato, per di più nell’esposizione e non nella ripetizione; non si possono quindi considerare come variazioni.

Alessandra Kurzak: Inizia con un bell’accento imperioso, che varia un po’ nel corso dell’esecuzione. Canta piuttosto bene, anche se non è brillante come le migliori. Ma il vero problema risiede in una direzione, decisamente ruvida, che in più di un punto mette l'interprete alle strette.

Ottime:
Natalie Dessay: l’accento è più sfumato e lirico. Canta molto bene, anche se alcuni trilli non sono particolarmente brillanti. È l’unica ad eseguire la piccola cadenza prevista in corrispondenza di una fermata (la stessa segnata nello spartito linkato).

Edita Gruberova: l’accento più imperioso e nobile; all’inizio qualche coloratura sembra leggermente "meccanica", ma nel corso dell’aria questo difetto sparisce. I trilli sono veramente perfetti.

Diana Damrau: sfoggia anche lei un accento molto vigoroso, ma l’interpretazione è più variata di quella della Gruberova. L’unico (piccolo) difetto è che all’inizio si sente come un tentativo di scurire la voce; il risultato è leggermente artificioso.

Fuori concorso:
Joan Sutherland (1957): L’ascolto di questa giovane (e rara) incisione della cantante stupirà coloro che ne conoscono le registrazioni successive; la dizione è infatti qui estremamente chiara e l’emissione è assolutamente spontanea.
L’esecuzione è estremamente brillante, ai limiti dell’incredibile; la vocalizzazione è fluida, i trilli perfetti e gli acuti sono centrati con una facilità irrisoria. L’interprete non è particolarmente varia (forse anche a causa del tempo rapido staccato dal direttore), ma la voce emana una spontaneità che conquista.

Piccole questioni di filologia d’esecuzione:
Nessuna delle cantanti esaminate esegue tutte le appoggiature come vorrebbe la prassi interpretativa dell’epoca. Ne esegue diverse Sumi Jo, pochissime la Sutherland; curioso che sia la Dessay che la Damrau ne eseguano alcune solo nella ripetizione di alcune frasi, a mo’ variazioni. La Damrau e la Francillo-Kauffmann sono le uniche ad introdurre di fatto delle vere e proprie variazioni, se pur minime, in alcuni dei da capo.
Natalie Dessay è l’unica ad eseguire la cadenza prevista; Alessandra Kurzak, Edita Gruberova e Diana Damrau eseguono invece una piccola scala discendente (di raccordo) non prevista alla fermata precedente.

sabato 30 aprile 2011

Mozart - "Per questa bella mano", interpretazioni a confronto.


Si tratta di un’aria che Mozart ha scritto per Franz Xaver Gerl, primo interprete del ruolo di Sarastro nel Flauto Magico. La tessitura della pagina è da basso profondo: la voce scende più volte al Fa#1, mentre la nota più acuta è un Re3.
Aria impegnativa per la voce, per le discese al registro grave e per gli sbalzi da questo al registro acuto; è inoltre previsto qualche passaggio di coloratura e soprattutto quattro trilli.
Formalmente si tratta di un'aria bipartita; ad un andante iniziale, segue un allegro. Grande singolarità del brano è la presenza di una impegnativa parte concertante affidata al contrabbasso, che apre l’aria con un assolo e in diversi punti ha il compito di “duettare” con la voce.

Ho scelto registrazioni che possono essere visti su youtube (quella di Tajo l'ho caricata io su megaupload); per vederle (e ascoltarle) basta clickare sul link. Lo spartito si può consultare gratuitamente qui.

La registrazione di Italo Tajo (scaricabile qui) con Mario Rossi (del 1949, con l’Orchestra Rai di Torino) è piuttosto deludente per i numerosissimi tagli; viene ridotta la stessa introduzione con assolo del contrabbasso, sconvolgendo l’aspetto “concertante” della pagina. Anche la parte vocale risulta abbreviata, risparmiando al basso uno dei passaggi più scabrosi di discesa al grave. Proprio le note basse sono quelle che mettono più alle strette Tajo (per scendere sotto il Si1 alcune volte si sente una pausa in cui il cantante prende fiato, prima di riprendere, un escamotage che interrompe di fatto la continuità del legato). Un altro neo è il ricorso a qualche nota “aspirata”. È un peccato, considerato che la sua voce sin dall’inizio si evidenzia come morbida e piacevole e l’accento è piuttosto azzeccato. I due trilli (perché tanti ne rimangono, per via dei tagli) sono eseguiti bene.
L’interpretazione di Justino Diaz, è piuttosto corretta, sebbene la voce è più ordinaria. Tallone d’Achille gli estremi gravi, non sempre bene a fuoco e i trilli non sono perfettamente rifiniti. In compenso è l’unico ad introdurre delle variazioni nei da capo, per quanto piccole: un gruppetto, delle appoggiature (nell’ultimo da capo),
Thomas Quasthoff evidenzia una voce molto più bella e omogenea; il basso-baritono è ottimo negli estremi gravi quanto negli acuti. I trilli sono buoni e il legato è perfetto.
George London vanta una bella voce, giusto un po’ meno spontanea degli altri. Nei gravi estremi è talvolta in difficoltà. Il primo trillo è solo abbozzato; molto bene gli altri invece. Come interprete è forse il più convincete. London è affiancato Bruno Walter, che firma la miglior direzione; inoltre la registrazione vanta il miglior contrabbassista sentito finora. Lo strumentista “canta” autenticamente, ritagliandosi di diritto il ruolo di deuteragonista della voce.
Cesare Siepi canta l’aria in un recital in cui è accompagnato dal solo pianoforte e quindi viene tagliata l’intera parte del contrabbasso. A compensare la perdita, c’è la voce più straordinaria fra quelle qui ascoltate: ricca di armonici, di un’uguaglianza assoluta fra i registri, di uno splendore e opulenza assoluti. Un vero fiume che sgorga spontaneo, con un perfetto senso del legato. L’accento è abbastanza variato e i trilli sono buoni.

Riassumendo: la versione di Siepi è senz’altro la meglio cantata, ma è penalizzata dall’assenza del contrabbasso (e dell’orchestra); quella di London è forse la più adatta a farsi un’idea della pagina, anche grazie al direttore e allo strumento solista, entrambi eccellenti.
Molto riuscita anche la versione di Quasthoff. Corretta e non priva di interesse quella di Diaz.


Una piccola questione musicale: seguendo con lo spartito si può notare come tutti i bassi considerati omettano uno dei trilli segnati in partitura (eseguendone quindi complessivamente solo tre, dei quattro previsti). Fa eccezione Justino Diaz, che ne esegue addirittura uno in più!

La questione riguarda un passaggio della seconda parte dell'aria, che ritorna due volte; dopo una nota tenuta, un La2, la prima volta semplicemente si scende di un'ottava, al La1:

Nella ripetizione, dopo il La2 è invece previsto un trillo:

Tutti gli interpreti (escluso Justino Diaz) nella ripresa omettono questo trillo. London e Siepi eseguono la frase come la prima volta; Quasthoff sostituisce il trillo con una cadenzina all'acuto.
Curiosamente Diaz termina invece la frase entrambe le volte con un trillo.
In un altro video con pianoforte e contrabbasso (reperibile qui) lo stesso cantante esegue entrambe le volte un mordente; nella prima frase si tratterebbe di un'aggiunta, ma nella seconda sostituisce il trillo.

lunedì 18 aprile 2011

Due interpretazioni Mozartiane su strumenti d'epoca - La correttezza vs. l'emozione


Di recente ho avuto occasione di ascoltare due diverse esecuzioni dei due concerti mozartiani (18 e 19, K456 e K459), entrambe realizzate su strumenti d’epoca e tenendo presenti le ultime conquiste della filologia in fatto di prassi musicale. Tuttavia nel risultato la differenza si sente.

L’interpretazione di Levin con Hogwood e The Academy of Ancient Music scorre via liscia, estremamente accurata ed interessante, ma senza grandi sorprese. Quella di Staier con ilConcerto Koln invece… è un’autentica rivelazione.

Non starò a soffermarmi sui dettagli; l’aspetto che più di tutti colpisce è il forte senso del teatro e del gioco. Il pianoforte e l’orchestra dialogano, suggerendosi le battute, creando un vivacissimo contrasto tra un tema e quello successivo, tra una frase e quella seguente, realizzando appieno le potenzialità drammaturgiche insite nel testo mozartiano. E in questo contesto l’impiego di abbellimenti, di variazioni nei da capo, assumono tutto un altro senso, nell’ottica di un’interpretazione coerentemente tesa a creare attesa (tensione) e sorpresa (distensione) in chi ascolta.

Evidentemente non bastano gli strumenti antichi e la conoscenza dei testi teorici; alla fine a fare la differenza nei risultati è la capacità dell’artista di utilizzare al meglio gli strumenti che ha a disposizione (anche quelli della filologia), per creare emozione nell’ascoltatore. Cosa che risulta tanto più difficile quando si tratta di pagine di un autore “inflazionato”, come lo è Mozart.




lunedì 4 aprile 2011

Concerto del Giardino Armonico a Pavia

Davvero un bel concerto quello tenuto dal Giardino Armonico a Pavia, il 25 marzo. Un programma ben costruito, soprattutto da musica poco nota (con la parziale eccezione delle pagine di Vivaldi, comunque non fra le più celebri del compositore veneziano).
Alcune pagine vedevano sul palco il complesso milanese senza il direttore, Giovanni Antonini, che si presentava solo nelle opere che lo vedevano impegnato nel duplice ruolo di leader e solista, ovvero due concerti di Vivaldi per flautino e uno per flauto. Le composizioni di Dario Castello, Tarquinio Merula, Giovanni Legrenzi e Baldassarre Galuppi erano affidate quindi alla guida del primo violino, Enrico Onofri. E devo dire che… la differenza un po’ l’ho notata.
Una delle caratteristiche più tipiche del Giardino Armonico è di affrontare i brani con una certa vivacità e baldanza e il virtuosismo si accompagna ad una costante concitazione ritmica. L’alta velocità a cui viene affrontata la musica rischia tuttavia di far perdere qualcosa: da un lato la chiarezza dell’intreccio polifonico, dall’altro la logica interna al discorso musicale.
Nei brani in cui dirigeva Antonini, anche quando il tempo era altrettanto spedito, nulla andava a discapito dei dettagli e l’articolazione formale dei brani veniva costruita con chiarezza.

Ma tutto sommato si tratta di piccole critiche, di fronte ad un’interpretazione che è rimasta per tutta la durata del concerto assolutamente interessante e assolutamente godibile.

Programma:

Dario Castello - Sonata XV a quattro
Tarquinio Merula - Sonata a quattro "La Lusignola"
Ciaccona per 2 violini e basso continuo
Dario Castello - Sonata a quattro in do
Giovanni Legrenzi - Seconda sonata a quattro op.10
Vivaldi: Concerto per flautino in do maggiore RV 444
Concerto per flauto in do minore RV 441
Galuppi: Concerto a 4 in sol minore
Vivaldi: Concerto per flautino in do maggiore RV 443

+ bis: Vivaldi, finale da un concerto per flauto; Merula: Ciaccona (ripetuta dal programma)

domenica 9 marzo 2008

Proposta assurda - Copyright da 50 a 95 anni (!!)

Riporto qui la notizia della proposta del commissario europeo Charlie McCreevy, il quale lo scorso febbraio ha presentato una proposta per l'estensione della durata dei diritti d'autore per gli interpreti musicali, dagli attuali 50 anni, a 95. La motivazione addotta è che 50 anni spesso non coprono la durata della vita degli artisti. Se un musicista inizia a registrare attorno ai 20 anni, essendo oggi l'aspettativa di vita in Europa di 75 anni per gli uomini e di 81 per le donne, perderà infatti i diritti sulle proprie registrazioni giovanili.
La motivazione è risibile di per sé: se si vuole coprire la vita media di un artista, il copyright potrebbe essere alzato semmai a 70 anni; o il commissario europeo McCreevy crede ora che l'aspettativa di vita media sia di 115/120 anni??
Inoltre mi piacerebbe sapere quanto incida nella vita di un artista che raggiunge i 90 anni la discografia realizzata a 20. Io credo in maniera irrisoria.

Credo che se questa legge dovesse passare, sarebbe un autentico atto di inciviltà che avrebbe come unico effetto di rendere meno accessibili al pubblico di oggi alcuni grandi capolavori del passato.
Questo in linea di principio. All'atto pratico un simile provvedimento interesserebbe un gruppo di persone ristretto; gli appassionati di musica classica in primo luogo (o anche appassionati di jazz, oggi; fra qualche anno invece inizierà a coinvolgere anche altri generi musicali).
Proprio adesso che le registrazioni di grandi artisti avrebbero potuto diventare patrimonio dell'umanità! (per ragioni cronologiche, l'esempio forse più lampante è quello delle registrazioni della Callas; ma si potrebbero anche fare molti altri esempi).

Inoltre mi sembra un atto completamente anacronistico, vista la tendenza degli ultimi anni che, grazie alle possibilità offerte da internet, ha visto svilupparsi una circolazione sempre più libera della cultura (e di materiale multimediale: testi, musica, immagini, video,…) e dell'informazione.

Inoltre mi chiedo se davvero qualcuno avrebbe da guadagnarci: le case discografiche ci guadagnerebbero davvero così tanto? E gli artisti?
Perdonatemi un'ultima riflessione, ma se viene esteso a 95 anni, le ultime registrazioni di Enrico Caruso (effettuate nel 1920) saranno protette fino al 2015!! dico, Caruso è morto nel 1921, che bisogno ci sarà mai di tutelare le sue registrazioni fino al 2015?? Solo un musicista che dovesse registra musica a 10 anni e arrivare a compierne 105 ne potrebbe trarre giovamento. Tutto ciò è semplicemente assurdo!

Non vedo una buona ragione che sia una per sostenere una legge del genere, che fa l'interesse (ammesso, ma nient'affatto concesso che davvero lo faccia) di pochi, piuttosto che di molti.


Invito chiunque dotato di un minimo di buon senso, chiunque abbia interesse affinché la cultura sia il più possibile libera ed accessibile a tutti, a firmare la petizione online contro questa assurdità:

PETIZIONE ONLINE CONTRO L'ESTENSIONE DELLA DURATA DEI DIRITTI D'AUTORE DA 50 A 95 ANNI

lunedì 3 marzo 2008

Un'incantevole cantante del passato - Alma Gluck

Volevo approfittare di questo spazio per scrivere due righe a proposito di una cantante del passato, di cui ho avuto modo di ascoltare di recente una serie di registrazioni (riversate in maniera eccezionale in cd per la sua etichetta da Ward Marston - www.marstonrecords.com).
La cantante in questione è il soprano americano Alma Gluck (nata Reba Feirsohn - 1884-1938), cantante oggi poco nota, ricordata forse solo per essersi guadagnata un posto nel Guinness dei primati, essendo stata la prima cantante un cui disco ha raggiunto il milione di copie, cantando una canzone popolare americana (il "cross-over", o meglio il fenomeno del cantante lirico, anche famoso ed affermato, che si dedica alla musica leggera non è certo stato inventato di recente) e forse anche per aver cantato nella ripresa al Metropolitan dell' "Orfeo ed Euridice" di Gluck, voluta da Toscanini (nel ruolo di Ombra Felice).
Mi sono deciso a scrivere di lei a seguito dell'ascolto di due cd in cui sono riversate parecchie incisioni di questo soprano, sia di arie d'opera che di brani da camera, nonchè di canzoni popolari di vari paesi.
La Gluck è un'interprete semplicemente incantevole; canta sia le arie che gli altri brani con ottima tecnica e grande gusto (per lo più molto sobrio, anche se all'occasione sa essere spiritosa nei brani che lo richiedono, come nei magnifici duetti dall' "Hansel und Gretel" di Humperdinck, con il contralto Louise Homer e in qualche canzone). La voce, perfettamente appoggiata sul fiato, è costantemente morbida e duttile. Un'altra qualità che mi ha stupito in questa cantante è la grande spontaneità ed immediatezza con cui il canto sembra "fluire", tanto nelle arie d'opera che negli altri brani.

Per dare un'idea di questa cantante, a puro titolo esemplificativo, ho scelto (si può ascoltare qui sotto) un brano di Rimsky-Korsakov: il soprano ha modo di sfoggiare un'emissione purissima, un ottimo legato e una intonazione perfetta.

Il soprano americano si mostra inoltre un'artista estremamente eclettica: oltre a spiccare la scelta di repertorio molto variegato, basta dare un'occhiata all'elenco delle lingue nelle quali canta (ben nove!): inglese, francese, italiano, tedesco, spagnolo, ucraino, russo, yiddish ed ebraico (!). Mi permetto di scegliere un altro paio di brani, in cui canta un brano di Saint-Saens, con accompagnamento di violino e una canzone popolare irlandese; nel primo fra l'altro ha modo di duettare con il marito, il violinista Efrem Zimbalist.

Con questo chiudo il mio breve e sentito omaggio a questa cantante; credo d'altronde che l'ascolto possa renderle molta più giustizia che non le mie parole.


ALMA GLUCK

Nikolay Rimsky-Korsakov: "La sposa dello Zar", aria di Lyubasha (cantato in tedesco)
(disco Victor - 14 febbraio 1916)

Camille Saint-Saens: "Le Bonheur est Chose Légère" - con Efrem Zimbalist, violino (nell'originale francese)
(disco Victor - 14 novembre 1914)

"As a Beam O'er the Face of Waters" (tradizionale irlandese; testo riscritto in inglese)
(disco Victor - 6 marzo 1914)



Alma Gluck mentre impara il "Charleston"